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Il Nuovo February 19, 2003

Analisti militari a Bush: "Ecco perché va evitata la guerra"

Strateghi, analisti e marines avvertono il capo della Casa Bianca: attaccare Saddam Hussein potrebbe avere un costo troppo alto. E contestano anche la scelta di un conflitto rapido ispirato al modello Afghanistan.

di Melissa Bertolotti

WASHINGTON - Gli analisti concordano: per Saddam Hussein la sola sopravvivenza fisica e politica avrebbe il significato di una guerra vinta. Il che, tradotto, significa che, sentendosi minacciato dalle truppe americane, il leader iracheno non avrebbe alcun motivo per trattenersi dall'usare le armi di distruzione di massa che gli contesta la Casa Bianca. A ipotizzare uno scenario che ha il sapore di una catastrofe sono gli stessi dirigenti militari americani. Che, seppur pronti a schierare nel Golfo qualcosa come 200mila marines, hanno più volte messo in guardia il presidente George W. Bush sulla scarsa convenienza di un attacco militare contro Baghdad. John Pike, analista militare a Washington e ideatore di GlobalSecurity.org, è stato chiaro: "non è per nulla facile per gli strateghi del Pentagono elaborare un piano attuabile che non provochi l'uso delle armi chimiche o biologiche contro Israele".

Un altro scenario da incubo è stato elaborato sul Time da un funzionario di alto grado del ministero della Difesa statunitense. Se si dovesse arrivare a combattere strada per strada, isolato per isolato a Baghdad, infatti, "le cose potrebbero complicarsi". Gli fa eco l'ex marine Scott Ritter secondo cui un'ipotetica resistenza a livello di guerriglia delle forze irachene potrebbe portare a centinaia, se non a migliaia, di "perdite americane". Quelle irachene, si legge sul Guardian, potrebbero invece raggiungere le decine di migliaia. Qui la riflessione di Geoffrey Kemp, ex membro del Consiglio di sicurezza nazionale del presidente Reagan, secondo cui "Bush non può permettersi di intraprendere una missione fallimentare. Sarebbe la fine, visto quello che è successo al padre e vista la propaganda messa in atto da questa amministrazione". Dai risultati di uno studio del Triangle Institute for Security Studies, poi, emerge che "l'opinione pubblica americana sarebbe disposta a tollerare fino a 30mila morti in un'operazione miliare in Iraq". Il tributo pagato in Vietnam, dove morirono 58mila soldati americani, non è quindi più ammissibile.

Non solo. I dirigenti militari contestano all'amministrazione di Bush junior anche la volontà di perpetuare in Iraq il "modello Afghanistan". Secondo l'Observer gli strateghi americani ritengono di avere quarantott'ore "per trovare e uccidere Saddam Hussein prima che questi tenti di usare le armi nucleari, biologiche o chimiche eventualmente in suo possesso". Secondo i capi di Stato maggiore, per assicurare il rovesciamento dell'attuale regime sarebbe invece necessaria una guerra su vasta scala. "Salvo con una guerra lunga - riporta il Time - è quasi impossibile che un intervento militare dall'esterno riesca a imporre cambiamenti duraturi" in Iraq. Difficile anche pensare di appoggiarsi alle forze di opposizione locale, come accadde in Afghanistan. In territorio iracheno, infatti, "il divario di mezzi fra il regime e l'opposizione è molto più ampio", afferma Kenneth Pollack, ex vicedirettore del Consiglio di sicurezza nazionale americano. Conferma Judith Yaphe, per vent'anni analista del Directorate of Intelligence della Cia in Medioriente e nel Golfo Persico: "Sarà un'operazione americana al 99 per cento".

La conclusione è affidata all'ex generale dei marines Anthony Zinni, inviato speciale di Bush in Medioriente, che sulla rivista Us Naval Institute Proceeding ha scritto: "Tutti devono essere uniti nel desiderio di agire. Ma noi, invece, cerchiamo i risultati in modo da risparmiare".


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