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La Repubblica (30 luglio 2002)

Il Pentagono studia un attacco per bloccare l'atomica iraniana

di ARTURO ZAMPAGLIONE

NEW YORK - I preparativi per la guerra contro l'Iraq non impediscono agli strateghi della Casa Bianca e ai generali del Pentagono di pensare anche ad un'altra rischiosa operazione militare: un attacco preventivo con missili e aerei sulla centrale nucleare iraniana di Bushehr, sulle coste del Golfo Persico.

Costruita con l'assistenza tecnica di Mosca, che ha preferito incassare 800 milioni di dollari da Teheran piuttosto che dar retta a George W. Bush, la centrale sarà completata entro il 2003 o alla fine del 2004, diventando operativa un anno e mezzo dopo. Sarà in grado di produrre 100 megawatt di elettricità: per usi pacifici, assicurano gli ayatollah iraniani, ricordando di essere in regola con il trattato di non-proliferazione e di aver invitato a Bushehr gli ispettori della Iaea, l'agenza atomica di Vienna.

A Washington, invece, molti temono che si tratti del primo passo per la bomba atomica: di qui l'ipotesi di mettere in pratica la dottrina Bush sulla prevenzione del terrorismo neutralizzando le batterie anti-aeree e anti-missilistiche che già difendono l'impianto di Bushehr, e mettendolo poi fuori uso.

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L'opzione militare ha un famoso precedente: il 7 giugno del 1981, una squadra di cacciabombardieri F-15 e F-16 con la stella di Davide rase al suolo il reattore nucleare costruito dai francesi a Osirak, non lontano da Bagdad. In quella occasione gli Stati Uniti criticarono duramente Israele, ma in seguito si resero conto che il raid aveva di fatto impedito a Saddam Hussein di disporre di armi nucleari. "Anche adesso ci troviamo di fronte a un problema simile", ha spiegato ieri al Washington Post John Pike, direttore del centro di ricerca GolobalSecurity.org: "Se gli Stati Uniti o Israele non attaccheranno entro un anno gli impianti iraniani, dovranno rassegnarsi alla bomba atomica di Teheran".

Naturalmente la Casa Bianca non sottovaluta i rischi di un attacco preventivo. Innanzitutto verrebbe interpretato da Teheran come un atto di guerra, con conseguenze per il momento imperscrutabili. Spingerebbe poi gli ayatollah ad accelerare la ricerca in campo nucleare, che secondo la Cia è già molto avanzata. Potrebbe anche creare tensioni con la Russia di Vladimir Putin, che ha sempre difeso, come nel corso dell'ultimo summit di Mosca, la buona fede del progetto iraniano e che, dopo quella di Beshehr, ha promesso di costruire altre 5 centrali in Iran.

Infine, l'azione militare sarebbe strumentalizzata dal regime teocratico per bloccare i cambiamenti politici all'orizzonte. "I mullah al potere in Iran assomigliano sempre di più agli abitanti dl Cremlino nel 1988 o a quelli i Versailles nel 1788", ha scritto ieri sul Wall Street Journal James Woolsey, uno che conosce molto bene la situazione di Teheran per essere stato per tre anni alla guida della Cia. Secondo Woolsey, la teocrazia sciita è giunta al capolinea, il paese è in fermento, l'opposizione alza la testa, il presidente Khatami dimostra di avere lo stesso spirito riformatore di Andropov e il regime non può durare a lungo.

L'ex-capo degli 007 ha invitato gli Stati Uniti ad appoggiare la lotta del popolo iraniano: un appello, questo, in contraddizione con un eventuale attacco preventivo da parte dell'Air Force. Certo, come nel 1981, l'azione potrebbe essere anche condotta da Israele, con o senza l'appoggio americano. Gerusalemme ha già dato a chiare lettere che considera la centrale di Beshehr come una minaccia alla sicurezza dello stato di Israele.


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